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“Volevo essere una Barbie solo per piacere a lui”. L’attrice Lorena Cacciatore racconta la sua battaglia (vinta) contro l’anoressia

 

La bella Lorena Cacciatore – sguardo vispo, taglio di capelli sbarazzino – se ne sta seduta fuori dal bar di Roma che più ama, in piena Trastevere. Sceglie sempre il tavolo nell’angolo, vicino al gelsomino, che è quasi in fiore e sprigiona un profumo acerbo, potente. È difficile per lei tornare indietro, lontano negli anni. Ricordare, in un periodo di luce (finito ‘Baciato dal sole’ è impegnata nelle seconde stagioni delle altre fortunate serie di Raiuno, ‘Il paradiso delle signore’ e ‘Tutto può succedere’), di quando ha attraversato l’ombra più nera.

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anoressia 1Si guarda intorno. Respira. “Ma parlarne può aiutare altre ‘me’ a vincerla, l’anoressia. Sono stata una bambina grassa. Se nasci a Palermo non puoi non mangiare. I miei genitori, commercianti, giravano la Sicilia per fiere. E io con ciambelle fritte allo zucchero, pizzette e arancini divoravo anche la solitudine della distanza dai fratelli più grandi, e l’insicurezza per quella mia carnagione chiara e molle. Le compagne di classe mi massacravano di prese in giro. Avrò avuto sette anni: volevo essere la Barbie con cui giocavo. Invece pesavo 5 chili in più della mia altezza (le regole dietetiche ne vorrebbero 10 in meno, ndr). Finché non m’innamoro di Giovanni: moro, sguardo verdissimo, pelle olivastra, il più bello della scuola. Volevo piacergli, ma come potevo? Enorme com’ero, unta, depressa cronica, nervosa e bianca, le unghie mangiate. È lì che inizio a procedere per sottrazione: i 12 biscotti del mattino diventano 4, il latte intero si fa scremato, il bicchiere, mezzo. Ogni scusa è buona per saltare il pranzo: mal di pancia, mal di testa, una lezione di piano… Avevo elaborato un metodo perfetto per nascondere il cibo: lo masticavo un po’, e appena i miei si giravano lo mettevo in un tovagliolo e poi lo buttavo via. Sono arrivata a dimagrire 25 chili, e a pesarne 38. Avevo sedici anni”.
anoressia 2E com’era? “Non avevo i morsi della fame, il desiderio di accettarmi li superava. Mi saltava il ciclo, ero scavata, eppure mi vedevo stupenda. Mi schiarivo i capelli lunghi con la camomilla, e mi sentivo Claudia Schiffer. Si accorge di me anche Giovanni, e ci mettiamo insieme. Le stronze m’invidiano, ma il peggio doveva arrivare. Del cibo avevo ormai terrore. Bevevo un bicchiere d’acqua e correvo sulla bilancia, a capire se era cambiato qualcosa. Ricordo un Natale: ho tutti i vestiti di taglie nuove, e sono felice. I miei iniziano a preoccuparsi. Litigo furiosamente con mia madre, che non fa che sottopormi ad analisi del sangue da cui viene fuori che mi manca il ferro, il calcio, che i globuli bianchi sono sballati. Le urlo frasi come: ‘Vuoi che ritorni la palla che mi avevi fatto diventare?’. Mi sentivo aggredita dai loro sguardi e giudizi, e così rispondevo. La guerra la spensero loro, prendendomi con le buone. Furono bravi ad avvicinarsi con altri toni. ‘Perdonaci se non volendo ti abbiamo fatto del male. Noi non vogliamo che torni come prima, ma non hai le mestruazioni da sei mesi e se non permetti a nessuno di aiutarti, si blocca la crescita, e con lei la vita – quella cosa col sole, gli alberi, il mare – finisce’. Mi spiegano che sono malata. Comincio a crederci. Un giorno mi portano in un centro di cura per ragazze anoressiche. Quelle che sono come io non mi vedo. Me le fanno solo guardare: come si erano ridotte, che cosa mi sarebbe toccato se avessi continuato così, come mi sarei avviata verso la morte”.

Nel silenzio che si è aperto, ho immaginato corpi consunti in letti d’ospedale con intorno pietà, flebo, familiari arresi. “Qui (e si tocca l’incavo della spalla), qui anche io ero tutta scarnificata come loro. Il tremendo è che allo specchio non ti vedi la pelle attaccata alle ossa, ma solo che qualunque cosa indossi ti entra bene. Però lì mi era salita la paura. Così, accetto l’aiuto di un nutrizionista che, a partire da due cucchiaini di gelato al cioccolato, piano piano, grammo dopo grammo, piccola dose dopo piccola dose, riesce a convincermi che il cibo non è mio nemico, che una mollica di pane non è una violenza, si può mandare ancora giù”.

Fonte: Vanity Fair