Nel corso delle ultime settimane si è discusso approfonditamente della possibilità di poter avviare, in completa legittimità, delle terapie di fecondazione eterologa anche in Italia. Ma di cosa si tratta? E perché c’è un così gran parlare di tale operazione?
Iniziamo con il definire le varie tipologie di fecondazione.
Fecondazione artificiale
È la fecondazione (definita anche “assistita”) con la quale si attua l’unione dei gameti in via artificiale, mediante osservazione al microscopio.
Fecondazione omologa
Il seme e l’ovulo utilizzati nella fecondazione assistita appartengono alla coppia dei genitori del nascituro, che quindi presenterà un patrimonio genetico ereditato da coloro che intendono crescerlo ed educarlo.
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Fecondazione eterologa
È la fecondazione che avviene quando il seme o l’ovulo provengono da un soggetto esterno alla coppia. Per ricorrere a ciò esistono vere e proprie banche del seme che conservano il liquido seminale: i donatori lasciano i loro campioni che vengono conservati nel centro, e quindi utilizzati dalle coppie con problemi di fertilità.
Cosa dice la legge
La legge 40/2004 ha vietato le pratiche di fecondazione assistita eterologa. Un divieto netto, che ha di fatto avviato un ciclo di “viaggi della speranza” all’estero da parte delle coppie italiane che, pur volendo avere un figlio, non potevano far altro che recarsi in strutture specializzate al di fuori dei confini italiani.
Ebbene, la sentenza della Corte Costituzionale del 9 aprile 2014 ha cancellato il divieto imposto dalla legge 40/2014, ritenendo dunque illegittima la parte in cui poneva un veto sulle pratiche di fecondazione assistita.
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Come funziona la procreazione assistita
Introdotto quanto sopra, potrebbe essere utile cercare di capire come funziona la c.d. Pma, la procreazione medicalmente assistita.
Il primo step è naturalmente quello dell’anamnesi. Secondo le indicazioni dell’Istituto superiore della sanità, se la coppia – dopo un periodo definito “ragionevole” di rapporti non protetti, come un anno o due – non riesce ad avere figli, può rivolgersi ad una clinica specializzata al fine di individuare trattamenti precedenti che possono avere danneggiato la fertilità (cura dei tumori, ecc.), fattori legati allo stile di vita (consumo di alcol e di tabacco), informazioni sulla vita sessuale e su eventuali terapie per l’infertilità già tentate in passato.
“Arrivare a una diagnosi corretta nel minor tempo possibile è di importanza fondamentale: specie se la donna non è più giovanissima (ha cioè più di 35 anni), più tempo si perde e minori sono le possibilità di successo di un trattamento di Pma” – ricorda l’istituto, precisando dunque come sia importante agire con tempestività.
Fatto ciò, la coppia sarà sottoposta a una serie di analisi di base come quelle ormonali, al fine di valutare i livelli di ormoni sessuali presenti nel sangue, egografie, tamponi vaginali, pap-test, spermiogramma, spermiocultura. Solamente nelle ipotesi in cui tali esami non siano sufficienti per valutare le cause dell’infertilità, si procede alla prescrizione di indagini ancora più approfondite come il test di vitalità e di frammentazione del Dna degli spermatozoi per l’uomo, e l’isterosalpingografia, l’ecoisterosonografia e l’isteroscopia per la donna.
Una volta che il quadro clinico sarà chiarito, i medici cercheranno di comprendere se l’infertilità possa essere trattata o meno con la Pma. “Ad esempio – spiega l’Istituto Superiore di Sanità – una donna con le tube chiuse o danneggiate in modo irreparabile o un uomo con valori spermatici troppo deficitari non possono sperare in un concepimento naturale né in un reale ripristino della capacità riproduttiva. Anche le coppie che non sono completamente sterili ma che non riescono a concepire spontaneamente dopo due anni, dopo aver effettuato i dovuti accertamenti, sono candidate ideali per la Pma“.
Fatto ciò, si passa alla fase di Pma vera e propria, attraverso tecniche classificate in tre livelli. Nel primo livello si trovano le procedure mano complesse come l’inseminazione semplice, che consiste nell’inserimento della cavità uterina del liquido seminale fresco o scongelato.
Se le tecniche di primo livello non dovessero funzionare, si passa a quelle di secondo livello, che prevedono soprattutto la Fivet, la fertilizzazione in vitro con trasferimento degli embrioni.
Se nemmeno le tecniche di secondo livello ottengono successo, si procede all’unica tecnica di terzo livello, che richiede l’anestesia totale della donna e prevede la fecondazione in vivo. Si tratta tuttavia di una tecnica oramai quasi inutilizzata, con la quale i gameti maschili e femminili vengono caricati in un catetere e trasferiti nelle tube della donna, dove avviene il concepimento. Una tecnica molto invasiva e poco ripetibile e, per questo motivo, scarsamente praticata.
Naturalmente, il vostro medico saprà fornirvi tutte le indicazioni sui pro e sui contro di ogni tecnica e, pertanto, vi consigliamo di rivolgervi a lui senza esitazioni.