Gravidanza

Lavora in una clinica abortista e rimane sotto shock: storia straordinaria

pancione in gravidanza

Negli Stati Uniti è presente la principale catena di cliniche “abortiste” del mondo. Cliniche nelle quali quotidianamente vengono applicate interruzioni di gravidanza, e all’interno delle quali vi sono milioni di storie che meriterebbero di essere raccontante. Lungi da noi la volontà di proporvi un’opinione sul tema, in questa sede ci limitiamo a riportare la storia di Valerie, una ragazza che è riuscita a trovare lavoro all’interno di una di queste cliniche, e che ben presto si è resa conto che in questo settore il business girava intorno al dio denaro.

Valerie ricorda infatti che nè lei nè i suoi colleghi erano qualificati per poter offrire consulenza psicologica alle donne, e che nonostante questo lo facevano quotidianamente, seguendo delle direttive che provenivano dalla dirigenza della clinica. La dirigenza, a sua volta, induceva i collaboratori a convincere le donne di abortire, poichè l’aborto significava, semplicemente, soldi per la clinica. In tutto, 400 dollari per una gravidanza standard di 12 settimane, o una quota superiore se le settimane di gestazione erano superiori.

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Ricorda in tal modo Valerie:

Si pensa che i consulenti debbano spiegarti tutto, dirti la verità, ma non è vero: la cosa importante è far decidere per l’aborto senza troppe spiegazioni.” “Ci dicevano: se qualcuno vi chiede se soffrirà o se è già un bambino…voi semplicemente rispondete che si tratta solo di cellule, di tessuto che non soffre e che non si può definire vita…

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Non solo. Leggete questa testimonianza:

Ci veniva imposto di non soffermarci su altro ma di spiegare solo la procedura, le medicazioni, il post operatorio, non dovevamo rispondere in modo esaustivo alle richieste sullo sviluppo del feto o altro… c’era la paura che alcune donne potessero cambiare idea.
Eravamo dei venditori che cercavano di piazzare il prodotto “aborto” parlando solo in termini positivi senza menzionare gli effetti collaterali, soprattutto emotivi, che potevano esserci”.

E, come se non bastasse, Valerie ricorda che:

Prima dell’aborto era necessario fare un’ecografia per stabilire l’epoca della gravidanza ma era una procedura che doveva essere fatta minimizzando ogni dettaglio, eravamo stati istruiti per non far visualizzare le immagini alla donna in modo che non venisse presa dal panico, da dubbi…

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Valerie ha lavorato in clinica per sei anni. Poi, una folgorazione.

Ricordo che ero dietro al medico e potevo vedere perfettamente come stava eseguendo l’aborto di un feto di circa 20-22 settimane. Il bambino a quell’epoca è perfettamente sviluppato, le femminucce hanno anche già l’utero e le ovaie, sono presenti le corde vocali e dalla 14° settimana sappiamo anche che prova dolore, è in grado di distinguere il dolce e l’amaro nel liquido amniotico.

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Potevo distinguere perfettamente il suo viso e non so descrivere cosa ho provato in un istante: stavamo uccidendo un essere umano che ci stava guardando. Pensavo che era legale dunque non poteva essere sbagliato ma la mia coscienza urlava e io volevo urlare. Ho sentito la morte. Mi vergognavo, ero confusa e lo vedevo sanguinare, non fui più in grado di fare nulla

Voi che ne pensate?

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