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Donne vittime di violenza: se anche lo Stato chiude gli occhi. Il problema dei congedi

 

 

Le lavoratrici vittime di abusi sessuali o di violenza fisica dovrebbero potersi astenere dal lavoro per un periodo massimo di tre mesi. Senza perdere lo stipendio e continuando a maturare i contributi, esattamente come avviene per le dipendenti in maternità. Era uno dei fiori all’occhiello del JobsAct, ma a quasi un anno dall’entrata in vigore,  nessuna donna ha potuto beneficiare di questa misura. Un piccolissimo passaggio burocratico che lo impedisce. Ecco qual è:
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Femminicidio-624Il provvedimento è entrato in vigore a giugno 2015, ma al momento nessuna donna ha potuto ottenere questo congedo dal lavoro: manca ancora una circolare applicativa dell’Inps, senza la quale le aziende non possono dare seguito alle richieste delle dipendenti. Pubbliche o private che siano. La legge prevede anche la possibilità di trasformare il rapporto di lavoro in contratto part time.

La delibera amministrativa deve passare dalla direzione centrale “prestazioni a sostegno del reddito” dell’Inps, ma per un qualche corto circuito il provvedimento non c’è. Un ritardo che pesa sulle donne coraggiose che hanno denunciato il loro problema. Una norma già ampliamente criticata perché il 95% delle donne che subisce violenza non denuncia l’aggressione: “Si tratta di essere realisti”, commenta Gabriella Moscatelli, presidente dell’associazione Telefono Rosa che da oltre vent’anni tutela le vittime di violenza e i loro bambini, “perché nella mia lunga esperienza avrò incontrato solo due donne che avevano un lavoro stabile e che avrebbero quindi potuto beneficiare di una legge così congegnata”.

Tre mesi non sono sufficienti per “guarire”, ma consentono un periodo per se stesse, senza per questo perdere il lavoro. E’ proprio la mancanza di un reddito o di una autonomia economica spesso a mantenere il legame tra una donna e un familiare violento.