La colite ulcerosa è una malattia infiammatoria di natura cronica, che riguarda il colon-retto, ed ha cause non ben determinate (sebbene sia comunque possibile azzardare delle ipotesi). La patologia colpisce circa 100 mila italiani, e contraddistingue delle fasi in cui la malattia è in remissione (e i sintomi si manifestano con minore frequenza) a fasi in cui la malattia è invece attiva, sintomatica e, a volte, richiede addirittura il ricovero in ospedale per poter intervenire con le opportune terapie.
Come avviene
La colite ulcerosa è una malattia infiammatoria che interessa principalmente le zone superficiali delle pareti interne del retto e del colon (cioè, la mucosa e la sottomucosa) con conseguente arrossamento e ulcerazioni. Sebbene la zona più colpita sia tradizionalmente quella del retto, la patologia può comunque estendersi anche al colon in maniera più o meno ampia, in funzione della gravità dell’infiammazione.
Quali sintomi?
I sintomi della colite ulcerosa dipendono principalmente dalla gravità con cui si subisce la malattia, e dall’estensione dell’infiammazione. In ogni caso, i sintomi non potranno che essere di natura intestinale e, pertanto, concretizzabili nella diarrea con sangue e muco, tanto più frequenti quanto più la malattia e grave, e quanto più l’infiammazione è estesa.
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Altri sintomi molto comuni sono il gonfiore intestinale, i crampi, il dolore addominale, una frequente sensazione di bisogno di evacuare, incontinenza. Se la malattia ha una forma grave, è possibile che possano presentarsi anche altri sintomi come l’affaticamento, la perdita di appetito, la diminuzione del peso, la febbre. Nei casi più gravi, come abbiamo già avuto modo di anticipare, potrebbe essere necessario procedere a un ricovero ospedaliero. Ancora, da tenere sotto osservazione che il rischio di eccessiva perdita di liquidi e di sangue potrebbe condurre all’insorgere di anemia.
Come diagnosticarla
La colite ulcerosa viene diagnosticata sia mediante la raccolta di dati anamnestici, sia mediante l’effettuazione di esami di natura endoscopia e istologica. In particolare, può risultare utile procedere con una colonscopia, una procedura diagnostica che non solamente permette di sapere se il paziente è effettivamente affetto da colite ulcerosa, ma permette altresì di comprendere quale sia l’estensione della malattia. Sempre durante la colonscopia, sarà possibile procedere al prelievo di campioni di mucosa intestinale, utili per poter effettuare l’esame istologico.
Come fronteggiarla
Numerose sono le terapie sperimentate per poter cercare di trattare la colite ulcerosa, cercando di evitare il propagarsi dei fastidi. Per questi obiettivi, i farmaci assunti hanno scopo anti-infiammatoria, da prescriversi sulla base della gravità dei sintomi e dell’estensione dell’infiammazione.
Tra i farmaci più comuni ci sono la mesalazina e la salazopirina, in formazione orale o topica, e in grado di rappresentare la terapia di riferimento per questo tipo di malattia, con una buona efficacia sia nell’indurre la remissione della fase acuta, sia nel controllare i sintomi nel lungo periodo, anche grazie al favorevole profilo di sicurezza e di tollerabilità da parte dell’organismo.
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Altri farmaci sono i corticosteroidi, come il cortisone, che somministrati per via sistemica o topica, sono efficaci nell’indurre la remissione della malattia soprattutto nelle fasi acute. Tuttavia, come ben noto, il loro uso viene limitato nel tempo poichè possono dare dipendenza. Ancora, è possibile assumere immunosoppressori come l’azatioprina, il metotressato e la ciclosporina, molecole principali di tali classi terapeutica, impiegabili nei casi più gravi di colite aggressiva, quando il paziente è refrattario al trattamento con i corticosteroidi, ed è necessario dunque applicare una strategia di natura terapeutica alternativa.
Ultima “spiaggia” nel trattamento della malattia è il trattamento chirurgico. Si tratta comunque di una strategia fortemente minoritaria, da applicarsi solamente nelle ipotesi più gravi, quando il paziente non riesce a rispondere alle terapie farmacologiche sopra descritte. La scelta tra un intervento di natura conservativa e la rimozione anche del retto (una soluzione ancora più ridotta e scarsamente indicata), dipende dalla funzione dello sfintere anale e dall’età del paziente.
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In ogni caso, trattandosi di una patologia dalle tante sfumature, non possiamo che consigliarvi di parlarne apertamente con il vostro medico di fiducia fin dai primi potenziali sintomi di questa malattia. In questo modo potrete essere guidati lungo la strada delle terapie più consigliabili per poter curare la vostra specifica situazione, e riuscirete certamente a fronteggiarla in maniera adeguata, senza errori di valutazione e assunzione di farmaci che potrebbero essere addirittura controproducenti.
Detto ciò, pertanto, vi consigliamo di consultare il vostro medico di fiducia, e valutare insieme al ui la soluzione migliore e, ancora prima, gli esami da effettuarsi.