Giovani indipendenti? Certamente, ma quando si tratta di domandare una mano d’aiuto per lanciare una nuova impresa, la figura di riferimento non può che essere quella materna. A dichiararlo è una recente ricerca condotta dall’Università di Bologna e dal consorzio Aster, e presentata in occasione del recente Research to Business, il Salone internazionale della ricerca industriale e dell’innovazione.
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Stando all’analisi, le startup nate in Emilia Romagna (ma le considerazioni potrebbero in buona parte essere estese anche al resto dell’Italia) quasi nove volte su dieci (88,6%) partono solamente perchè alle spalle vi sono i soldi della mamma (e del papà). Dunque, sebbene non costituisca sorpresa, le risorse finanziarie arrivano quasi sempre dai parenti, mentre le banche intervengono solamente nel 3%, e la partecipazione di aziende industriali non va oltre il 4%. I tanti decantati venture capitalist si fermano allo 0,4%.
“L’Emilia-Romagna” – ha detto Paolo Bonaretti, direttore generale di Aster – “è la prima regione in Italia per numero di laureati in discipline tecnico scientifiche e per personale addetto a ricerca e sviluppo, ed è la seconda (dopo la Lombardia) per numero assoluto e densità di start up, il cui loro tasso di sopravvivenza è molto elevato (77%)”.
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In maniera ancora più dettagliata, la ricerca ha rilevato che dalla fine del 2013 al 30 aprile scorso le imprese innovative nell’apposito registro nazionale sono più che raddoppiate, crescendo del 123% da 1719 unità a 3842 unità. Quasi la metà hanno un fatturato inferiore a 500 mila euro e fino a un massimo di 9 addetti. E, soprattutto, sono nate grazie alla convinzione della mamma e del papà, che hanno evidentemente scommesso sui sogni dei propri figli, sostenendo finanziariamente (e non solo!) i progetti di successo e di realizzazione della cosa più importante della propria vita.