Salute e benessere

Tuo figlio si mangia le unghie? Abitudine da eliminare: perché lo fa e come aiutarlo

 

Mangiarsi le unghie è un comportamento diffusissimo. Lo fa circa un terzo dei bambini (per i quali è spesso una continuazione del tenere in bocca il ciuccio o il dito) e quasi la metà degli adolescenti; qualcuno continua a mangiarsi le unghie anche in età adulta. Cosa vuol dire a livello psicologico, questo gesto, e come aiutare nostro figlio? E’ il caso di usare repellenti? Il parere di pediatri e psicologi.

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unghie

 

Secondo i pediatri è un tic non patologico, si tratta di un gesto che sfugge alla volontà del bambino e che, a livello psicologico, sembra dire: «Sento in me molta aggressività ma insieme ne ho paura, quindi “mangio” gli attrezzi che la natura mi ha dato per ferire gli altri, i miei “artigli”».  La cosa che si può fare in questi casi è aiutare i ragazzi a esprimere la loro aggressività in maniera positiva e creativa.

Quando gli adolescenti temono la propria rabbia e si mangiano le unghie

La psicosomatica spiega che il significato dell’onicofagia (è questo il termine scientifico per il gesto di mangiarsi le unghie) sta in un simbolico “mangiare” se stessi. È come se la persona, non andandosi bene così com’è, provasse a “ricostruirsi” eliminando le parti di sé che ritiene sbagliate. Non a caso i più accaniti “mangiatori di unghie” sono gli adolescenti, che vivono un’età in cui tutto è scontro, in cui vengono contestate le regole del mondo familiare e adulto, in cui si vivono i primi approcci sessuali e soprattutto in cui, spesso, non ci si piace. Poiché le unghie sono il residuo evolutivo dei primitivi artigli (armi di difesa, attacco e sopravvivenza), rosicchiarle fino al punto di eliminarle è il tentativo simbolico di rendersi inoffensivi, per paura di ferire e sembrare “violenti”.

Cosa fare per aiutarlo I rimedi migliori sono quelli diretti: parlare con il bambino, ascoltare le sue motivazioni e fargli capire perché non deve farlo, ma senza ossessione e con molta pazienza e gradualità, perché è un’abitudine che, una volta instaurata, si può eliminare, ma richiede molto tempo, talvolta anche qualche anno. Qualora non fosse sufficiente, può essere opportuno chiedere aiuto allo psicologo, anche se non è un disturbo da considerare patologico. Per decidere se occorre un aiuto psicologico è molto importante valutare l’atteggiamento generale del bambino, la sua interazione a scuola o negli ambienti che frequenta, la sua sensibilità, eventuali altri tic associati o che sostituiscono quello dell’onicofagia.