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Omicidio Chiara Poggi, arriva la rivelazione-choc: ecco di chi sarebbe il dna trovato sotto le unghie della 26enne

 

Il profilo del Dna trovato e «isolato» sotto le unghie di Chiara Poggi non appartiene all’ex fidanzato Alberto Stasi, all’epoca studente universitario della Bocconi. La difesa del ragazzo,  condannato in via definitiva a 16 anni per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi, grazie a nuove indagini sostiene che il Dna sotto le unghie della vittima coincide con quello di un’altra persona, forse un giovane del posto, mentre nel caso di Stasi, la coincidenza era solo parziale. Nello specifico, si tratterebbe di un giovane che potrebbe anche gravitare nel vecchio «giro» di amicizie oppure di conoscenze della 26enne uccisa la mattina del 13 agosto 2007 a Garlasco, un paese di diecimila abitanti in provincia di Pavia, nella villetta di via Pascoli. A nove anni dall’omicidio e a un anno dalla condanna definitiva, successiva a due assoluzioni, che aveva portato l’ora 33enne Stasi a costituirsi nel carcere di Bollate, sua madre Elisabetta Ligabò affida al Corriere della sera la rivelazione-choc.

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chiarafb Una rivelazione che trova fondamento nei risultati di laboratorio, condotti da un noto genetista su incarico degli avvocati dello studio Giarda che si sono affidati a una società di investigazioni di Milano. Una novità che, alla luce delle potentissime novità, dovrà ora ricevere conferma dalle indagini di polizia giudiziaria e dalla probabile riapertura del caso. Di sicuro c’è che la mamma del giovane condannato presenterà istanza di revisione del processo.

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La Cassazione un anno fa ha confermato la condanna a 16 anni nei confronti di Alberto Stasi per l’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007. La condanna è diventata così definitiva. Il collegio della Suprema corte ha rigettato tutti i ricorsi presentati dalle parti avverso la sentenza di appello bis. Stasi è stato condannato anche al pagamento delle spese processuali alla parte civile: 10mila euro al fratello di Chiara, Marco, e 22mila euro ai genitori della ragazza.  Con questa decisione, la Suprema Corte ha messo la parola fine ad una vicenda giudiziaria iniziata 8 anni fa.