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La psicologia che si cela dietro i tatuaggi: 5 ragioni per cui ci piace farlo

 

Il termine deriva del polinesiano “tatau”, “battere” o “marchiare”, cioè il rumore che fa il picchiettare con un legnetto la pelle per far penetrare il colore, questo vuol dire che la passione per i disegni sulla pelle viene da lontano. E oggi sembra aver contagiato davvero tutti. Soprattutto da quando tatuaggio non è più sinonimo di trasgressione, ma è diventato un modo di parlare di sé, come non facciamo più, neppure nell’era dei social network.

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  1. E’ un segno di distinzione Già nell’antica Roma gli “stigma”, potevano essere inscritti soltanto su schiavi o gladiatori. Poi anche i soldati cominciarono a tatuarsi come segno di “distinzione”, appartenenza e rango, come simbolo di forza, vittoria e virilità, come avevano visto sui corpi dipinti dei Britanni, invincibili guerrieri e sui Traci, gladiatori impavidi, completamente tatuati. Anche Maximus, eroe in “Il Gladiatore”, ostenta sulla spalla un vistoso S.P.Q.R., acronimo di Senatus Populusque Romanus. I tatuaggi più amati e diffusi nell’Antica Roma erano il Lupo, la Fenice e il Cane, in epoca cristiana anche l’Avvoltoio (simbolo della Vergine Maria) e la Balena (la resurrezione di Cristo). Dall’altro capo del mondo, i Maori da sempre utilizzano i il tatuaggio come “rito sacro”, segno che marca l’ingresso nell’età adulta. In Giapponese, (“irezumi” da ireru, inserire, e “sumi” inchiostro) o “horimono” (da “horu” scrivere e “mono” qualcosa) era utilizzata come segno di distinzione e riconoscimento del proprio coraggio e valore; le immagini scelte hanno sempre avuto alto valore simbolico, arrivando ricoprire gran parte del corpo.
  2. Possono definire un’appartenenza a un gruppo preciso, a un’ideale o ideologia, ma nella maggior parte dei casi hanno un significato intimo e personale che viene “svelato” solo a persone speciali, e qualche volta mai. In ogni caso sono un “codice”, un messaggio cifrato dalla forma, dal tratto, dal disegno, dai colori. Margini e colori hanno i significati più  importanti, dal loro spessore e intensità il proprietario trae senso e piacere. Sono dediche alla luce del sole o nascoste con cura, spesso indirizzate a una persona precisa fuori o dentro di sé, con cui s’intrattiene un dialogo interiore continuo e un contatto visivo costante.
  3. Non voglio parlare, lo fa il corpo per me Il corpo come un libro stampato. Il corpo che parla con immagini e non ha bisogno di parole per comunicare. Un bel libro dove si cela sempre una parte di quel narcisismo “sano” che è  in ognuno e che permette di amarsi senza togliere niente a nessuno. Un corpo che desidera essere guardato, visto e ammirato, senza dover dare spiegazioni e che piaccia di per sé.
  4. I tatuaggi hanno sempre una “direzione”. Possono essere fatti per essere guardati dal “proprietario”, rivolti verso di sé e in parti accessibili allo sguardo oppure rivolti agli altri, per mostrare qualcosa di se stessi, esplicito o enigmatico che sia.
  5. La posizione che scegliamo ha un valore: sulla schiena hanno un valore simbolico particolare. Si dice che la schiena sia la parte del corpo legata all’udito e alla parola, lì parlano a se stessi e per se stessi. Sono quindi un bagaglio, fardello, piacere o dolore che può essere trasportato ovunque e rievocato solo con la memoria, visto solo da particolari angolazioni o al rovescio, come gli scritti di Leonardo, nel riflesso dello specchio, nello scatto di una foto. Nascosti d’inverno, esibiti d’estate seguono il tempo e le stagioni. Una trama che si crea interiormente e si amplia nel tempo, inanellandosi con i pensieri che li hanno prodotti.