Chissà perché, noi donne pensiamo che il diabete sia una malattia che colpisce soprattutto gli uomini, come se dipendesse da abusi alimentari e quindi che non ci riguardano, sempre attente al peso o alla salute. Niente di più sbagliato: intanto il diabete che colpisce le donne è diverso da quello degli uomini. Ma questo vuol dire anche che le donne diabetiche presentano, infatti, una maggiore mortalità legata alle complicanze e raggiungono i target contro i fattori di rischio con maggior difficoltà rispetto agli uomini. La cosa peggiore: una disattenzione anche dei medici nei confronti delle donne con questa malattia, quando invece rischiano più degli uomini.
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Il primo elemento a sfavore delle donne è che il diabete rappresenta per loro un super-fattore di rischio cardiovascolare: il rischio è infatti due volte più ‘forte’ nel sesso femminile. Nella donna, inoltre, il diabete ha una ricaduta particolarmente negativa sul fronte della coronaropatie e dell’ictus. Il rischio di coronaropatia tra i maschi con diabete è 2,16 volte maggiore che nella popolazione generale; ma per le donne diabetiche questo rischio è di 2,86 volte superiore. Ciò significa che le donne con diabete, rispetto alla controparte maschile, hanno un rischio di coronaropatia aumentato del 44%, mentre il rischio di ictus è superiore del 27% rispetto agli uomini. Ma cosa rende il diabete un fattore così ‘cattivo’ nelle donne?
Alcuni studi hanno dimostrato che un cattivo compenso glicemico sembra condizionare maggiormente il rischio di ictus nelle donne. Ed anche i fattori ormonali hanno un loro peso: nel maschio, bassi livelli di testosterone sono un fattore di rischio di cardiopatia ischemica, mentre nella donna ad aumentare questo rischio è al contrario la presenza di elevati livelli di testosterone. Nonostante i passi avanti registrati nelle cure, inoltre, nelle donne con diabete la riduzione del rischio cardiovascolare resta minore che negli uomini (rispettivamente 23% e 17%). Come mai? Un’ipotesi è che nelle donne i fattori di rischio cardiovascolari siano trattati con minor attenzione. Tra i muri da abbattere in questo caso vi è l’errata percezione che le donne abbiano un rischio cardiovascolare inferiore agli uomini: a loro vengono ad esempio somministrate meno di frequente le statine e si assiste ad una disparità di sesso anche nel trattamento con farmaci antipertensivi.