Bambino

Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia: ancora molti i diritti negati

 

Oggi nel mondo un bambino su 45 sta migrando perché sta fuggendo da guerre, povertà, cambiamenti climatici. Una vera emergenza per arginare la quale anche i pediatri si stanno mobilitando. Bambini poveri, migranti, bambini abusati. Eppure tra pochi giorni, il 20 novembre ricorre la 26esima  Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia, firmata dall’Onu nel 1989.
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Nel 1989 l’Onu approvò infatti la Convenzione per la tutela nel mondo del diritto dell’infanzia e dell’adolescenza (CRC – Convention of the right of the child), ratificata in Italia con la legge 176/1991.

La Convenzione tutela il diritto dei bambini alla vita, alla salute e alla possibilità di beneficiare del servizio sanitario, il diritto di esprimere la propria opinione e ad essere informati. I bambini hanno diritto al nome, tramite la registrazione all’anagrafe subito dopo la nascita, nonché alla nazionalità, hanno il diritto di avere un’istruzione, hanno il diritto di giocare e di essere tutelati da tutte le forme di sfruttamento e di abuso.

Nel 2002 sono entrati in vigore anche i due Protocolli Opzionali alla CRC, approvati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 25 maggio del 2000:

  • il Protocollo Opzionale sul coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati
  • il Protocollo Opzionale sulla vendita di bambini, la prostituzione minorile e la pornografia rappresentante minori. L’Italia li ha ratificati con Legge n. 146 dell’11 marzo 2002.

Nonostante vi sia un generale consenso sull’importanza dei diritti dei più piccoli. Ancora oggi molti bambini e adolescenti, anche nel nostro Paese, sono vittime di violenze o abusi, discriminati, emarginati o vivono in condizioni di grave trascuratezza.

Dal 1989 ad oggi tutti i Paesi del mondo, tranne Stati Uniti e Somalia, si sono impegnati a rispettare e a far rispettare sul proprio territorio i principi generali e i diritti fondamentali in essa contenuti. Ma nonostante tutto i bambini restano la parte debole della nostra società.