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Donne moderne: madri o donne in carriera?

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Anne-Marie Slaughter, ha suscitato una vera e propria discussione in merito alla necessità di avviare giuste misure per la promozione delle pari opportunità e a favore delle donne che rinunciano al lavoro a favore della maternità, costrette ad essere madri o donne in carriera. Dopo anni trascorsi rimandando una immagine di sé che faceva pensare a una di quelle donne che sembravano avere tutto nella vita, arriva la clamorosa rinuncia.

“ Gli uomini crescono ancora convinti che il loro obbligo familiare primario sia quello di essere il capofamiglia, le donne, credono che il loro obbligo primario sia quello di accudire la  famiglia, quello di essere il caregiver. Ma si può essere di più. Quando ho annunciato la mia scelta ai miei figli e a lavoro, al senatore Jeanne Shaheen,essa ha capito esattamente quello che sentivo, dicendo – Non c’è davvero altra scelta – Lei non si riferiva alle aspettative sociali, ma dell’imperativo ruolo materno avvertito così profondamente come scelta”.

Al centro della discussione vi è la supposizione che gli uomini sono i capifamiglia e le donne le operatrici sanitarie. Ella sostiene che gli uomini scelgono posti di lavoro oltre la famiglia, e che alle donne non verrebbe  mai offerta una ‘scelta’. In una frase, le donne sono incoraggiate a non mollare sulle cose che le definiscono  donne, come la maternità. Ma è davvero così? Nel 21° secolo, questo è ciò che definisce le donne? Bisogna necessariamente scegliere tra l’essere madri o donne in carriera? Se continuiamo a perpetuare questa visione stereotipata delle donne, allora stiamo facendo un disservizio a nostra figlia. Occorre trovare una soluzione migliore di quella di accalappiare un uomo ricco e di fare solo le madri.

Una recente indagine, di contro a quanto è emerso dal dibattito precedente, sottolinea come il 53% delle donne americane siano i capifamiglia primari. Alcune di queste hanno costituito delle famiglie monoparentali di sesso femminile, ma quasi un quarto delle donne intervistate, il 22%, vive con un partner che si guadagna da vivere.

 

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