Succede spesso nelle ore di sport, a scuola, in vari contesti che il bambino si senta escluso dal gruppo, dalle loro confidenze, dai tempi dei compagni. Si tratta della impressione del nostro bambino forse un po’ permaloso e iper-protetto? Al 90% no, hanno ragione loro: sono oggetto di esclusione. Cosa possiamo fare noi genitori per non assistere passivamente alla loro sofferenza? La differenza è che oggi si vive in contesti, sia familiari che scolastici, che incitano alla competitività più che alla condivisione, in cui si educa poco a mettersi nei panni degli altri e molto a cercare di primeggiare sugli altri, ed ecco che i bambini vengono su meno tolleranti, più competitivi e basta un niente che dicano ‘con te no’, specie poi se si trovano di fronte un compagno particolarmente timido e schivo
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Metterci alla loro altezza: dire al bambino che capiamo come si sente, lo vediamo, immaginiamo la rabbia e la delusione che sta provando, magari raccontando di episodi simili successi anche a noi quando eravamo piccoli. La nostra comprensione è fondamentale per fargli capire che non è il solo a provare certi sentimenti e non è solo;
Evitare di andare a parlare noi con i bambini del gruppo: non dobbiamo sostituirci a lui nella gestione della situazione, ad esempio andando a parlare con i bambini che lo escludono o con le mamme (a meno che non si tratti di gravi episodi di prepotenza, ovviamente), perché il messaggio che faremmo passare a nostro figlio è che lui non è capace di risolvere la questione da solo;
sforziamoci di far partorire da lui stesso una strategia per uscirne, suggerendo ipotesi, disegnando scenari di azioni e possibili reazioni come una ricerca da fare insieme;
sdrammatizziamo certe esperienze del bambino: questo non vuol dire minimizzare o essere indifferenti ai suoi sentimenti, ma tener presente che i bambini a volte esagerano nelle loro reazioni e possono farne un dramma anche per un piccolo rifiuto.