I bambini hanno sempre più spesso difficoltà nel linguaggio, ad esprimersi con suoni corretti, con un lessico ricco e con una logica adatta a farsi capire e a entrare in relazione con gli altri: passano dal 4% al 6% quelli che hanno disturbi del linguaggio che, se non corretti in tempo, portano al 70% di insuccessi scolastici con diagnosi di dislessia, discalculia, e problemi anche psicologici da affrontare sui banchi di scuola. “Una diagnosi precoce è fondamentale dice Tiziana Rossetto, presidente della Federazione Logopedisti Italiani (FLI) . Ecco quali sono i sintomi che devono impensierire un genitore:
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Senza allarmismi, perché ogni bambino ha i suoi tempi, certo è che le tappe dello sviluppo del linguaggio passano per alcune fasi. Dai 4 mesi di vita un bambino comincia a girarsi se lo chiamate, sorride, a 6 mesi emette primi gorgheggi e gridolini, crea una relazione con l’adulto attraverso lo sguardo, a 9 mesi comincia la lallazione, a fare si e no con la testa, batte le mani, usa i giochi della sua età, per arrivare alla tappa fondamentale dei 12 mesi, quella delle prime paroline, come mamma, papà, tato, nonna. Dai 12 ai 24 mesi comincia ad esprimere le sue prime idee, una prima frase, fatta di parole collegate tra di loro, proponendo frasi in sintonia con la situazione che sta vivendo. Intorno ai due anni inizia ad usare il proprio nome, ha il concetto di “io”, usa i verbi anche se non coniugati, dimostrando una maggiore difficoltà sintattica e logica, non solo lessicale. A 3 anni avviene la tappa sociale di ingresso nella scuola materna, quindi deve sapere esprimere le sue esigenze della vita quotidiana. A 4 anni un bambino attraverso linguaggio strutturato deve saper esprimere correttamente ciò che pensa.
“Un bimbo che non guarda negli occhi, che non sorride, ha un vocabolario ristretto e cerca di dire tutto con quelle poche parole, magari con suoni non appropriati deve impensierire un genitore e spingerlo a rivolgersi al pediatra, che, in assenza di altre diagnosi, lo indirizzerà dal logopedista. Questi disturbi hanno una origine genetica e una di contesto” dice la Rossetto: quando non si tratta di genetica ecco gli errori che i genitori devono evitare di commettere.
Una fase importante è quello tra i 12 e i 24 mesi: il bambino inizia a parlare ed è in quel momento che va incoraggiato a farlo. Come? Non incalzandolo con la logica dell’impartire la lezione, ma raccontandogli con frasi semplici ciò che accade attorno a lui. “Bisogna parlare spesso con il bambino, parlare a lui, rivolgendoci a lui con calore – continua la logopedista – dedicargli del tempo specifico per attività che implicano la parola: leggere insieme ad alta voce, cantare una filastrocca, aiutarlo alle ripetizioni in rima, anche guardare insieme un cartone, per commentarlo insieme, senza considerare la tv una moderna baby sitter; i bambini vogliono spesso sentire e vedere le stesse cose, vengono rassicurati da ciò che conoscono e cresce cosi la sicurezza in loro stessi. Anche lo sport ha il suo peso nello sviluppo del linguaggio. Attività psicomotorie nella prima infanzia per passare ai veri e propri sport dai 6 anni in su, senza agonismo. Sport come le arti marziali sono particolarmente adatti ai bambini che hanno meno coordinazione. La presenza del gruppo, di un coach e la gratificazione che viene dal gioco di squadra sono l’altra parte del lavoro che aiuta uno sviluppo armonico del bambino.
La disprassia, chiariscono i logopedisti, non ha però ”niente a che vedere con un deficit delle facoltà intellettive e cognitive, sebbene i piccoli potranno subire ritardi nell’imparare gesti intenzionali abituali, come vestirsi, deambulare, muovere lo sguardo, emettere suoni e parole. Ma se ad oggi non sono ancora totalmente chiare le cause di questo disturbo, certi sono invece i benefici derivabili da un percorso logopedico e programmi di riabilitazione ad hoc. È nell’infanzia – sottolinea la Presidente della FLI, Tiziana Rossetto – che si creano nuove connessioni nel sistema nervoso e il bambino apprende nuove abilità e competenze”.