Affrontare l’argomento aborto è abbastanza difficile, perché si sa la scelta di interrompere una gravidanza non è mai facile. Però si sa non tutte le gravidanze sono programmate e per questo a volte ricorrere all’aborto terapeutico è una delle soluzioni che possono essere prese per arginare il problema. La questione abortire o meno poi diventa ancora più complicata quando, durante una gravidanza programmata, esso diventa necessario perché il feto ha delle malformazioni o malattie gravi. La decisione a questo punto non è facile perché i “ma” e i “se” che seguono sono infiniti. Quindi a chi spetta l’ultima parola prima di procedere o meno all’interruzione di gravidanza? La Legge parla chiaro, l’ultima parola spetta alla donna.
La legge n. 194/1978 ha permesso l’interruzione di gravidanza, ovvero l’aborto, in Italia. Questa legge serve a regolare i termini entro i quali l’aborto non costituisce un reato. Nello specifico una donna può interrompere la gravidanza entro 90 giorni dal concepimento (3 mesi). Il termine prescritto dalla legge per eseguire un aborto regolare può essere ignorato solo e solo se vi sono ragioni mediche fondate. Per la legge poi è la donna a dover prendere la decisione finale sull’eseguire o meno l’aborto. La decisione di far prevalere la volontà di quest’ultima è una scelta radicale, ma allo stesso tempo più che comprensibile: è la donna a dover affrontare il parto, con o senza l’uomo, ed è la sua salute ad essere messa a rischio. Pertanto, il futuro papà può avere voce in capitolo, ma la decisione sull’abortire o meno spetta sempre alla mamma.
L’uomo quindi può stare accanto alla sua donna nel percorso che la porterà, eventualmente, all’aborto, ma soltanto se ella è d’accordo. È chiaro, quindi, che se lui vuole farla abortire e la donna non vuole, quest’ultima non solo può decidere di proseguire la gravidanza, ma addirittura di recarsi presso consultori e strutture sanitarie chiedendo che l’uomo venga estromesso da ogni decisione a riguardo. Nel caso la donna sia minore di 18 anni per l’interruzione della gravidanza è richiesto il consenso di chi esercita la responsabilità genitoriale o la tutela. Se la donna, invece, è sottoposta alla misura dell’interdizione la richiesta di interruzione può essere presentata dal tutore o dal marito e valutata dal giudice tutelare sulla base della relazione del medico.