Famiglia

O soffri o paghi. Epidurale, quella sconosciuta negli ospedali italiani

 

O soffri o paghi. E’ il destino delle donne italiane negli ospedali, quando arriva il momento del parto: negli ospedali pubblici non c’è possibilità di fare l’epidurale, l’anestesia che aiuta a soffrire meno. Ecco cosa accade nel nostro Paese, nelle nostre regioni, e non sono tutte uguali.

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L’epidurale in molte strutture pubbliche, soprattutto al Sud, è ancora una chimera e anche dove è disponibile i dati sono spesso molto distanti dal cosiddetto “golden standard”, che prevede l’utilizzo dell’analgesia per almeno il 30% delle partorienti (conteggiando anche quelle che fanno il cesareo). Capita spesso che trattamenti già programmati saltino all’ultimo momento perché gli anestesisti di turno in ospedale devono occuparsi di gravi casi urgenti. Così tante coppie per essere sicure di farla si rivolgono al privato o alla libera professione nel pubblico.

Il trattamento che quasi annulla i dolori del travaglio oggi non è nei Lea, i livelli essenziali di assistenza che tutte le Regioni devono garantire ai cittadini. È stato inserito in quelli nuovi, ormai attesi da un paio d’anni e finalmente vicini all’approvazione. “Il servizio sanitario nazionale garantisce le procedure analgesiche nel corso del travaglio e del parto vaginale nelle strutture individuate dalle Regioni”, recita il nuovo testo. Teoricamente infatti le varie amministrazioni possono decide in quali ospedali dare il servizio, ad esempio uno per provincia. L’introduzione dell’epidurale però deve avvenire a costo zero, non sono stanziate risorse aggiuntive come per altri nuovi Lea. Il trattamento potrebbe servire anche a ridurre un po’ i cesarei, anche se non tanto. Questo perché le donne che hanno molto dolore “collaborano” meno durante il travaglio, cosa che può portare complicazioni e richiedere appunto l’intervento chirurgico.

“L’Italia è ancora indietro nel campo dell’epidurale, lo abbiamo detto al ministero e alle Regioni”, spiega Alessandro Vergallo, presidente di Aaroi, il sindacato degli anestesisti. I problemi hanno a che fare anche con i soldi, oltre che con l’organizzazione del sistema. Sarebbero infatti necessari più anestesisti per garantire la copertura dei turni e in generale molti ospedali dovrebbero essere strutturati meglio per permettere a questi professionisti di svolgere il loro lavoro alternandosi tra sale travaglio e sale parto chirurgiche.