Bambino

Mamma partorisce bimbo down e lo “abbandona”: ecco il suo dolore

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In questi ultimi giorni sta facendo particolarmente scalpore una triste storia che arriva dalla Nuova Zelanda, dove un piccolo bimbo e suo padre si sono trasferiti dall’Armenia alla ricerca di un futuro migliore. Ma andiamo con ordine.

La storia ha come incolpevole protagonista Leo, un bimbo nato con la sindrome di Down e sostanzialmente “abbandonato” dalla propria madre, che appena 7 giorni dopo il parto ha chiesto ufficialmente il divorzio al marito, Samuel. Samuel ha quindi deciso di lasciare l’Armenia, terra d’origine della mamma, e luogo dove il bambino è nato, per andare a cercare una migliore fortuna in Nuova Zelanda. Solamente qui, infatti, Samuel avrebbe potuto prendersi adeguata cura del proprio figlio, circondato dall’affetto della propria famiglia. Per poter realizzare il suo sogno, Samuel ha aperto una pagina di richiesta di aiuto, con la quale puntava a raccogliere i fondi utili per potersi prendere autonomamente cura del bimbo per almeno un anno, rinunciando al lavoro e dedicandosi a un bebè che avrebbe necessitato di grande supporto: in breve tempo sono stati accumulati fondi per una cifra ben superiore a quanto sperato, e Samuel ha potuto coronare il proprio desiderio.

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Proprio quando la vicenda sembrava essersi mediaticamente conclusa, è spuntata nuovamente la madre. La donna, Ruzan, dall’Armenia ha voluto raccontare la sua difficoltà, le ragioni della propria scelta.

Su Facebook la madre racconta che:

Mi ricordo le facce tristi di miei parenti e i medici e la diagnosi che suonava come un verdetto: il bambino è nato con la sindrome di Down.

La donna temeva di essere al centro di una serie di pregiudizi culturali, a quanto pare abbastanza radicati in Armenia, dove molti bimbi affetti dalla stessa sindrome vengono sostanzialmente affidati agli orfanotrofi.

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Ho incontrato gli sguardi evasivi dei medici, ho visto gli occhi macchiati di lacrime sui volti dei miei parenti, ho ricevuto telefonate di condoglianze e allora ho capito che solo il trasferimento in un paese con una cultura diversa, come la Nuova Zelanda, avrebbe soddisfatto il diritto di mio figlio a una vita dignitosa (…)La prima cosa che è ho pensato dopo la diagnosi è stata che non voglio che mio figlio cresca in un paese dove alcuni stereotipi dominano la vita delle persone disabili lasciandole senza nessuna opportunità.

Sancito ciò, la donna non nega di avere avuto problemi con il marito e, pertanto, aver richiesto il divorzio. A fronte di ciò chiarisce anche che non avrebbe potuto scegliere di prendersi cura da sola di Leo in Armenia e, di contro, che la stessa cosa può invece ben avvenire con Samuel in Nuova Zelanda.

In sintesi, la mamma nega di aver “rifiutato suo figlio”, lamentandosi invece di aver subito una vera e propria persecuzione online.

La storia è rimbalzata su ogni piattaforma possibile senza nemmeno provare a darmi voce, accusandomi di avere messo fine al mio matrimonio dando un ultimatum a Sam, o me o il bambino, ciò non è assolutamente vero.

Che ne pensate?

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