“E’ stato straziante, l’ultima volta che ho visto Kaden era in terapia intensiva, aveva il torace aperto così ho potuto vedere il suo cuore e i polmoni. Hanno cercato di strapparlo alla morte per tredici ore. Sapevo che stava andando via e che non c’era più niente da fare. Ma continuavo a urlare ai medici di provare a salvarlo”. Si chiamava Kaden Hadfield e ha perso la vita straziato dal dolore. Sulle circostanze del decesso e sulle condizioni di salute del bimbo è in corso un’indagine: per due lunghi anni nessuno dei medici a cui è stato sottoposto il caso di Kaden ha mai parlato di artrite. La famiglia intende dimostrare che l’artrite del bambino poteva essere controllata con una diagnosi appropriata e tempestiva e con la giusta cura farmacologica. E’ per questo che la famiglia ha sporto denuncia e vuole diffondere la storia di Kaden.
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In ventiquattro mesi la mamma ha portato Kaden in ospedale ben venti volte, quindi con una cadenza quasi mensile. La diagnosi che accompagnava il bimbo nei ripetuti ricoveri e nelle ripetute dimissioni era sempre la stessa: carenza di vitamina D. E così Caitlin e Kaden tornavano a casa con vitamine e antidolorifici.
Presso l’Adler Hey Hospital, all’atto della diagnosi, i medici non hanno potuto non constatare lo stato di avanzamento dell’artrite: la malattia aveva già devastato il corpo del bambino. Trattamenti funzionali anche mirati andavano, quindi, a incidere su un corpicino già martirizzato e ciò pregiudicava il recupero e la guarigione. L’artrite reumatoide si può anche guarire ma con una diagnosi tempestiva.