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“Il lavoro precario della mamma ritarda lo sviluppo linguistico del bambino”. Lo rivela uno studio dell’Università Bicocca di Milano

 

Hai un contratto precario, quindi con meno diritti legati alla maternità? Allora aumentano le probabilità che tuo figlio – rispetto al bambino di una mamma con un contratto di lavoro ‘regolare’ – sviluppi in ritardo le capacità di linguaggio. dopo il danno la beffa: i contratti flessibili non solo sono economicamente svantaggiosi per il lavoratore, ma le minori tutele poi influiscono direttamente sulla vita (e sul benessere) in famiglia. Era intuibile però, ma non pensavamo potesse condizionare anche la crescita dei nostri figli.

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È questo il risultato di una ricerca effettuata per l’università Bicocca dal giuslavorista Riccardo Bonato, prendendo in esame 334 nuclei familiari milanesi.

Secondo gli studi, generalmente la prima parola del bambino avviene in un’età compresa tra i 9 e i 14 mesi. Così il campione è stato diviso in due categorie: chi l’ha pronunciata prima dei 15 mesi e chi dopo. Incrociando poi il dato con la situazione lavorativa della madre. “Nel segmento del campione in cui (la madre, ndr ) è assunta con un contratto atipico la percentuale dei bambini che ha detto la prima parola dopo i 15 mesi è del 40,6 per cento. Laddove invece la madre ha un lavoro stabile, la percentuale scende al 28 per cento”.

La precarietà (anzi, la flessibilità) fa sì che le neomamme prendano meno permessi e congedi e contemporaneamente lavorino di più. L’analisi statistica della ricerca, infatti, mostra che se non si fruisce dei riposi giornalieri la percentuale dei “bambini post-15 mesi” è del 41,5 per cento; se invece si resta più a casa, scende al 25, 3 per cento. La mancata fruizione del permesso da parte della figura di riferimento aumenta del 48 per cento la probabilità che il figlio appartenga al gruppo dei bambini nei quali si rileva un rallentamento dello sviluppo linguistico.