Famiglia

Il bimbo piange: è un capriccio o un bisogno? Impariamo a capirlo così

 

E’ difficile: quando il bambino piange il cervello di mamma e papà va in tilt. Ma il bambino non piange per farci un dispetto o per indurci volontariamente all’esaurimento dei nervi. Mai, anche quando si tratta di un “piccolo tiranno”. Ecco i segnali per capire se si tratta di un bisogno o di quale disagio si cela sotto un capriccio.

(continua dopo la foto)

bambini-1-anno-capricci2

 

I capricci possono essere la risposta (per lo più sana) alle regole educative imposte in famiglia oppure a difficoltà esterne, all’asilo o a scuola. Occorre armarsi di tanta pazienza e di capacità di osservazione. Perdere la pazienza, punire o peggio passare alle mani non può che peggiorare la sua reazione e incrinare il rapporto genitore-figlio.

Nei primi giorni dopo la nascita a scatenare il pianto del bimbo sono soprattutto stimoli fisiologici o disagi fisici, come la fame, il freddo, il dolore. Mano a mano che passano i giorni, a queste ragioni si sommano anche bisogni psicologici, come quello di sentire vicini i genitori, in particolare la mamma. In questo senso si tratta di un comportamento di attaccamento, che ha il fine di garantire la vicinanza fisica delle figure di riferimento e protezione.

Fino alle 6-8 settimane di vita, dunque, il pianto è soprattutto un riflesso dei bisogni primari. Già a partire dai due mesi, però, le cose cominciano a cambiare, perché il bambino diventa più attivo nel contatto con mamma e papà” afferma Barone. In effetti, è il momento in cui i bébé cominciano a capire che possono modulare dei piccoli suoni, e quindi piangere in modo intenzionale, per attirare l’attenzione. Il pianto diventa quindi uno strumento per permettere a mamma e bambino di conoscersi meglio e di imparare a regolare a vicenda le proprie emozioni e interazioni.

Mano a mano che il bambino cresce, le cause che portano al pianto diventano sempre più articolate.  Mai dire frasi del tipo: “Non piangere: non c’è motivo, o non c’è niente da piangere”. Meglio riconoscere che c’è un disagio e accoglierlo: “Ti sei spaventato perché sei caduto? Sei triste perché è si è rotto il gioco? Lo capisco”. Tutto ciò insegna al bambino che può esprimere liberamente i suoi bisogni e le sue emozioni, perché c’è qualcuno disposto ad ascoltarli e ad accoglierli. Tuttavia questo non significa che dobbiamo fare esattamente tutto quello che il bambino chiede. Il bambino deve sapere che i suoi stati emotivi sono tutti importanti, anche la rabbia.

capricci1

Dopo di che la nostra risposta varia a seconda dell’età e delle regole che abbiamo condiviso. Se un bambino di un mese piange perché ha fame, dovremo cercare di soddisfare la sua richiesta. Se uno di tre anni piange perché vuole un cracker cinque minuti prima della cena e noi pensiamo che non sia giusto darglielo, gli diremo dolcemente che abbiamo capito la sua richiesta, ma che per varie ragioni – che cercheremo comunque di spiegargli – non possiamo soddisfarla. In questo caso..piangesse pure. Piuttosto distraiamolo con qualcosa, un gioco d’acqua in questo caso funziona sempre, fino all’ora della cena.