Alimentazione

Dieta mediterranea, ennesimo studio difende i suoi pregi

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La dieta mediterranea continua ad essere sempre più studiata in tutto il mondo. E, in tutto il mondo, continuano a fioccare i vantaggi e i pregi per questo regime alimentare che, secondo quanto afferma un recente studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Irccs Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, in collaborazione con l’università degli Studi cittadina, il Centro di riferimento oncologico-Cro di Aviano (Pordenone), l’Istituto nazionale tumori di Napoli e l’università di Losanna in Svizzera, e pubblicato sull’ultimo numero del British Journal of Cancer, permetterebbe alle donne che mangiano all’italiana di ridurre il rischio di ammalarsi di tumore all’endometrio – il corpo dell’utero – di almeno il 50%.

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Per cercare di monitorare gli stili alimentari e ricollegarli ai vantaggi per il nostro organismo, le partecipanti sono state valutate sulla base di 9 componenti dietetiche quali frutta e verdura, legumi, cereali, patate, pesce e grassi polinsaturi, di cui la dieta mediterranea è ricca; carne, latte e latticini, di cui la dieta mediterranea è povera; alcol, di cui è tipico il consumo moderato.

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Ebbene, le donne che avevano una maggiore aderenza alla dieta mediterranea presentavano altresì una riduzione del rischio di tumore all’endometrio del 57% rispetto a quelle che avevano invece una bassa aderenza. Non solo, all’aumentare dell’aderenza alla dieta mediterranea cresceva anche la protezione sul tumore all’endometrio, suggerendo pertanto la sussistenza di un rapporto causa – effetto.

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“Le nostre ricerche in questo campo – commenta Alessandra Tavani, del Dipartimento di epidemiologia del `Mario Negri´, autore senior dello studio – mostrano che per noi italiane aderire a uno stile di dieta mediterranea permette di diminuire il rischio di sviluppare non solo il tumore dell’endometrio, come mostrato da questa ricerca, ma anche il rischio di tumori del cavo orale, stomaco, fegato e pancreas, oltre che diminuire il rischio di infarto miocardico, come abbiamo già osservato in studi analoghi“.